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Gestione dei Rifugi e convenzioni con soggetti privati
La Legge 281/91, già più volte richiamata, obbliga i Comuni a farsi carico del ricovero dei cani vaganti, abbandonati o randagi accalappiati sui propri territori. Dopo i 10 giorni in cui il cane accalappiato è accolto in un canile sanitario a cura della competente ASL, la giurisdizione sull’animale passa all’ente locale sul cui territorio è stato rinvenuto e catturato. Da questo momento in poi sarà il Comune a decidere se accogliere l’animale in un proprio canile, oppure affidarlo alle cure di un rifugio – canile in convenzione.
Molti allevatori e pensioni private per cani, fiutato il business delle convenzioni, hanno predisposto le strutture per entrare nel mercato dei cani randagi. Tale offerta di disponibilità può rivelarsi controproducente dal punto di vista qualitativo, perché il business conviene se si lavora su numeri considerevoli (quindi molti Comuni e centinaia di cani) e alcune delle condizioni prevalenti per assicurarsi l’appalto sono l’economicità del servizio e il ribasso a base d’asta. Ciò comporta che alcune strutture private, per ottenere profitti sul mantenimento dei cani, mirano a gestirli talvolta con cibi scadenti, senza le occorrenti cure veterinarie (quali ad esempio il non certo economico trattamento antifilaria), non prevedendo uscite nelle aree di sgambatoio, attività di educazione o rieducazione del cane (al corretto rapporto con gli umani, per superare i traumi o per fare i bisogni all’aperto), di sterilizzazione ecc. Chi ha come proprio fine il proprio legittimo profitto lavorerà con i cani in tale ottica, risparmiando sul benessere degli animali, sulle cure e sull’alimentazione.
Le associazioni animaliste, al contrario, che nascono con il preciso scopo statutario di tutelare i diritti degli animali, operano con l’obiettivo del benessere dei cani e quindi l’aspetto economico, pur importante, non è predominante. Ecco perché è bene che, quando ve ne è l’occasione, i canili-rifugio siano gestiti preferibilmente da associazioni animaliste o protezioniste riconosciute (attraverso l’iscrizione all’Albo comunale o regionale delle associazioni di volontariato), come accade ad esempio in Germania e come suggerisce una Circolare dell’allora Ministro della Sanità, Umberto Veronesi (riportata nei “Documenti” allegati).
Non è difficile predisporre una gara ed un capitolato d’appalto che offra punteggi maggiori alla qualità del servizio, della struttura, del benessere degli animali, prima che all’economicità. Le diverse voci possono essere armonizzate a favore dei cani, della trasparenza ed anche del risparmio successivo da parte del Comune. Un cane educato, sano, stabile, in buona salute, infatti, è un cane che si affida più facilmente e, di conseguenza, resterà meno tempo in canile a spese del Comune.
Molti allevatori e pensioni private per cani, fiutato il business delle convenzioni, hanno predisposto le strutture per entrare nel mercato dei cani randagi. Tale offerta di disponibilità può rivelarsi controproducente dal punto di vista qualitativo, perché il business conviene se si lavora su numeri considerevoli (quindi molti Comuni e centinaia di cani) e alcune delle condizioni prevalenti per assicurarsi l’appalto sono l’economicità del servizio e il ribasso a base d’asta. Ciò comporta che alcune strutture private, per ottenere profitti sul mantenimento dei cani, mirano a gestirli talvolta con cibi scadenti, senza le occorrenti cure veterinarie (quali ad esempio il non certo economico trattamento antifilaria), non prevedendo uscite nelle aree di sgambatoio, attività di educazione o rieducazione del cane (al corretto rapporto con gli umani, per superare i traumi o per fare i bisogni all’aperto), di sterilizzazione ecc. Chi ha come proprio fine il proprio legittimo profitto lavorerà con i cani in tale ottica, risparmiando sul benessere degli animali, sulle cure e sull’alimentazione.
Le associazioni animaliste, al contrario, che nascono con il preciso scopo statutario di tutelare i diritti degli animali, operano con l’obiettivo del benessere dei cani e quindi l’aspetto economico, pur importante, non è predominante. Ecco perché è bene che, quando ve ne è l’occasione, i canili-rifugio siano gestiti preferibilmente da associazioni animaliste o protezioniste riconosciute (attraverso l’iscrizione all’Albo comunale o regionale delle associazioni di volontariato), come accade ad esempio in Germania e come suggerisce una Circolare dell’allora Ministro della Sanità, Umberto Veronesi (riportata nei “Documenti” allegati).
Non è difficile predisporre una gara ed un capitolato d’appalto che offra punteggi maggiori alla qualità del servizio, della struttura, del benessere degli animali, prima che all’economicità. Le diverse voci possono essere armonizzate a favore dei cani, della trasparenza ed anche del risparmio successivo da parte del Comune. Un cane educato, sano, stabile, in buona salute, infatti, è un cane che si affida più facilmente e, di conseguenza, resterà meno tempo in canile a spese del Comune.